L’urlo di “Toto”
La Haka è una danza tipica del popolo Māori. Se pensi alla Haka, pensi immediatamente agli All Blacks, la nazionale di rugby neozelandese. Quella danza è il loro biglietto da visita prima dell’inizio di ogni partita. Un ruggito per segnalare all’avversario cosa si dovranno aspettare durante il gioco.
“Noi siamo questa roba qui, poi non dite che non vi avevamo avvisati”.
È questa la sensazione che provai una delle prime volte che vidi una delle squadre del CCNA impegnata in gare di campionato.
Le canoe strette in cerchio, punta a punta, mani una nell’altra, frasi indistinguibili al pubblico, urlate al cielo e poi un muro d’acqua alzato come se fosse un’esplosione, prima di trovarsi ciascuno al proprio posto di combattimento.
Ogni club ha il suo “modo”, il proprio biglietto da visita. L’incitamento è molto simile l’uno all’altro, nelle intenzioni se non proprio nei modi. Quella sensazione me la sono portata dietro, e mai altro sport mi ha suscitato la stessa chiara impressione di somigliare tanto al rugby. Per questa e molte altre ragioni.
Di ritorno da Agropoli, quest’immagine ha ripreso a farsi avanti. Anche se c’era qualcosa… che non mi tornava…
Ci ho messo un po’ a realizzare che oltre l’immagine, al cerchio di canoe, al muro d’acqua, c’è altro. Molto altro.
È una sorta di colonna sonora che accompagna il gioco della squadra. Il costante, fragoroso, ossessivo incitamento dei giocatori in quel momento fuori dai cinque impegnati in campo.
Il coach deve avere freddezza, per cogliere e suggerire una strategia, un’azione, un cambio, una tattica. Il pubblico si entusiasma e trasferisce lo spirito. Ma quella del pubblico resta un’opinione. Anzi l’incitamento è la somma di tante opinioni che quasi mai sono uguali per tutti.
Alla squadra in acqua serve l’urlo dei compagni.
L’urlo in una lingua che è quella di chi sta giocando, quella affinata negli allenamenti. E deve essere un urlo potente, da sovrastare ogni cosa, la trance agonistica dei giocatori, le buone intenzioni della gente, le grida degli avversari che in quel momento stanno facendo altrettanto.
Ad Agropoli, dopo una partita, ho chiesto a Salvatore della Ragione se avesse ancora voce. Mi sembrava impossibile.
Si, ad ascoltarlo ne aveva.
Come deve averne ciascun giocatore che oltre tutto, deve faticare a pagaiare, a rincorrere la canoa avversaria, a sfilarsi per andare ad attaccare, e poi dare un cambio al compagno e continuare ad incitare. Ci vuole proprio tanta forza. E tanta genuina pazzia.
Come quella che venne fuori a dismisura un giorno a Catania, quando a finale meritatamente conquistata, foga, impeto e sregolatezza gli impedirono di giocarsela.
Ci vuole tanta forza per non soccombere al dispiacere, per rialzarsi e prendersi la rivincita.
E tanta speciale pazzia.
E pare proprio che dell’una e dell’altra ce ne sia in quantità!
Addetto stampa
Gino Illiano